Il 16 luglio 2018, le Autorità nazionali per la tutela dei consumatori dei Paesi dell’Unione Europea, coordinati dalla Commissione, hanno inviato alla piattaforma online Airbnb una lettera contenente la loro posizione comune[1] sulle pratiche commerciali e i termini di servizio applicati dalla piattaforma, che consente a privati e professionisti di offrire in affitto sistemazioni per soggiorni brevi.
Le Autorità nazionali ritengono che le modalità in cui Airbnb presenta i prezzi delle sistemazioni offerte sul proprio portale ed alcune disposizioni contenute nelle sue condizioni di utilizzo non siano conformi alla Direttiva 2005/29/CE[2] sulle pratiche commerciali scorrette.
Per quanto riguarda la trasparenza dei prezzi, le Autorità evidenziano come a seguito di una ricerca generica indicando solo la località in cui si sta cercando una sistemazione od utilizzando determinate chiavi di ricerca, il sito presenti una serie di risultati con l’indicazione del prezzo per notte e il seguente avvertimento al fondo della pagina in cui vengono elencati i risultati: “Enter dates to see full pricing. Additional fees apply. Taxes may be added after login”. Inoltre, anche la homepage del sito web di Airbnb mostra una selezione di proposte per le quali viene indicato il prezzo per notte, ma quando si seleziona una di queste proposte il prezzo indicato è talvolta superiore a quello presentato nella homepage.
Le Autorità ricordano che ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 4, lettera c) della Direttiva 2005/29/CE, nel caso di un invito all’acquisto devono essere indicati “… il prezzo comprensivo delle imposte o, se la natura del prodotto comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore…”. Secondo le Autorità, il fatto di indicare nei risultati della ricerca, sia essa generica o specifica, il prezzo per notte, senza indicare il costo del servizio, delle pulizie o di altre spese aggiuntive e tasse che potrebbero essere ragionevolmente calcolate in anticipo rappresenta una pratica commerciale sleale ai sensi della Direttiva 2005/29/CE.
In secondo luogo, le Autorità evidenziano che sulla base degli Hosting Standards di Airbnb anche alcuni operatori professionali sono autorizzati ad utilizzare la piattaforma per offrire i propri servizi alberghieri. Tuttavia, nei risultati delle ricerche effettuate sul sito, non compare alcuna distinzione tra le sistemazioni offerte dai privati e quelle offerte da un professionista. Ai sensi degli articoli 6, paragrafo 1, lettera f), e 7 paragrafi 1, 2 e 4, lettera b), della Direttiva 2005/29/CE, una pratica è considerata ingannevole quando è suscettibile di fuorviare il consumatore con riguardo alla natura o identità del professionista o di celare tali informazioni. Airbnb dovrebbe dunque consentire agli operatori professionali che operano sulla sua piattaforma di identificarsi come tali.
In un servizio come quello di Airbnb che ha reso possibile l’accommodation sharing, la distinzione tra operatori professionali e ospiti privati può influenzare le decisioni dei consumatori che utilizzano la piattaforma per prenotare una sistemazione, oltre ad avere conseguenze sulle norme di tutela dei consumatori applicabili nel caso specifico.
Inoltre, Airbnb dovrebbe impegnarsi ad inserire sul proprio sito web un link facilmente accessibile per la risoluzione online delle controversie e tutte le informazioni relative a norma del Regolamento (UE) n. 524/2013 sulla risoluzione delle controversie online dei consumatori[3], poiché attualmente sono presenti solo un contatto telefonico e l’indirizzo di Airbnb Payments UK Ltd.
Per quanto riguarda le condizioni di utilizzo, le Autorità ricordano che ai sensi della Direttiva 93/13/CE[4] sulle clausole contrattuali abusive, le condizioni generali non devono creare un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti a scapito del consumatore, e che tali condizioni generali devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile affinché il consumatore sia informato dei suoi diritti in modo altrettanto chiaro e comprensibile. Nel caso di Airbnb, le Autorità contestano che, ad esempio:
- la società non deve indurre i consumatori ad adire un giudice di un Paese diverso da quello del loro Stato Membro di residenza;
- Airbnb non può decidere unilateralmente e senza motivazione quali clausole restino in vigore in caso di risoluzione del contratto;
- Airbnb non può privare i consumatori dei loro diritti fondamentali a citare in giudizio un soggetto che dà ospitalità in caso di danno alle persone o di altra natura;
- Airbnb non può modificare unilateralmente le clausole e le condizioni, senza informare chiaramente i consumatori in anticipo e senza dar loro la possibilità di recedere dal contratto;
- le clausole di utilizzo non possono conferire ad Airbnb un potere illimitato e discrezionale di rimozione dei contenuti;
- la denuncia o la sospensione di un contratto da parte di Airbnb deve essere motivata, disciplinata da regole chiare e non deve privare il consumatore del diritto ad un congruo indennizzo o del diritto di presentare ricorso;
- la politica di Airbnb in materia di restituzioni e rimborsi, e la raccolta delle richieste di risarcimento devono essere chiaramente definite e non devono privare i consumatori dei loro diritti di avvalersi dei mezzi di ricorso disponibili.
La lettera delle Autorità nazionali si conclude con l’invito indirizzato ad Airbnb ad inviare, entro il termine di due mesi, una risposta che illustri le variazioni che la piattaforma intende introdurre per rendersi pienamente conforme alla legislazione europea sulla tutela dei consumatori. Nel caso in cui le misure proposte non dovessero essere considerate soddisfacenti, le Autorità potrebbero adottare misure coercitive.
La lettera contenente la posizione comune delle Autorità nazionali per la tutela dei consumatori rappresenta un’azione coordinata adottata ai sensi dell’articolo 9 del Regolamento (CE) 2006/2004[5] sulla cooperazione per la tutela dei consumatori; il secondo comma di tale articolo stabilisce che “… nel caso in cui le autorità competenti vengano a conoscenza di una infrazione intracomunitaria che arrechi pregiudizio agli interessi dei consumatori di più di due Stati membri, le autorità competenti interessate coordinano il loro intervento e chiedono l’assistenza reciproca attraverso l’ufficio unico di collegamento. In particolare, esse si adoperano per svolgere le indagini e applicare le misure esecutive contemporaneamente…” creando una vera e propria rete di cooperazione per la tutela dei consumatori (Consumer Protection Cooperation – o CPC – network).
La Commissione viene informata anticipatamente di questo tipo di azioni e svolge un ruolo di coordinamento al fine di assicurare un’applicazione omogenea delle norme all’interno del mercato unico. La cooperazione può essere attivata anche per far applicare coattivamente gli strumenti legislativi di tutela del consumatore, in particolare, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, la direttiva sui diritti dei consumatori[6] o la direttiva sulle clausole contrattuali abusive[7].
Ulteriori posizioni comuni assunte dal CPC network con il conseguente invio di una lettera di contestazione alle imprese interessate avevano in passato avuto ad oggetto il programma di richiamo e riparazione delle vetture Volkswagen coinvolte nello scandalo del Dieselgate[8], le frodi e la rimozione di contenuti illegali presenti sui social media[9], la trasparenza dei prezzi e delle condizioni contrattuali applicati dalle società di autonoleggio[10], la differenza di qualità dei prodotti alimentari tra gli Stati Membri[11] e gli acquisti in-App, in particolare con riferimento ai giochi online pubblicizzati come gratuiti[12].
Roberto A. Jacchia
Davide Scavuzzo
[1]Common position of national authorities within the CPC Network on the commercial practices and the terms of service of Airbnb Ireland, disponibile al seguente LINK.
[2]Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»). GUUE L 149 dell’11.06.2005
[3]Regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (regolamento sull’ODR per i consumatori). GUUE L 165 del 18.06.2013.
[4]Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. GUUE L 95 del 21.04.1993.
[5]Regolamento (CE) n. 2006/2004 del parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori («Regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori»). GUUE L 364 del 09.12.2004.
[6]Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. GUUE L 304 del 22.11.2011.
[7]Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. GUUE L 95 del 21.04.1993.
[8]Si veda il seguente LINK.
[9]Si veda il seguente LINK.
[10]Si veda il seguente LINK.
[11]Si veda il seguente LINK.
[12]Si veda il seguente LINK.