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De Berti Jacchia finalista nella categoria Food dei Legalcommunity IP&TMT Awards 2020

De Berti Jacchia è finalista nella categoria “Studio dell’anno – Food” e la partner Giovanna Bagnardi è finalista nella categoria “Avvocato dell’anno – Food”.

Inoltre, lo Studio è finalista nelle seguenti categorie dei Legalcommunity IP&TMT Awards 2020:

  • Studio dell’anno Marchi e Brevetti
  • Avvocato dell’anno Marchi e Brevetti – Roberto A. Jacchia
  • Studio dell’anno Design
  • Avvocato dell’anno Design – Matteo Biondetti
  • Studio dell’anno Life Sciences
  • Avvocato dell’anno Life Sciences – Roberto A. Jacchia
  • Studio dell’anno Fashion
  • Avvocato dell’anno Fashion – Roberto A. Jacchia e Matteo Biondetti
  • Studio dell’anno Food
  • Avvocato dell’anno Food – Giovanna Bagnardi
  • Studio dell’anno Contenzioso

Nuovo slancio per le Startup Innovative

Tra le misure varate dal governo con il Decreto Rilancio (decreto-legge n. 34/2020) un ruolo non secondario va attribuito alle previsioni destinate a supportare e sviluppare le idee di business innovativi.

Merita anzitutto di essere segnalata la disposizione che mira al rafforzamento dell’ecosistema delle start up innovative (Art. 38), con cui sono inserite ulteriori norme volte a rafforzare il sostegno pubblico alla nascita e allo sviluppo di imprese innovative, agendo nell’ambito dello strumento agevolativo “Smart&Start Italia”  istituito con decreto del MiSE 24.09.2014 e finalizzato a promuovere, su tutto il territorio nazionale, le condizioni per la diffusione di nuova imprenditorialità e sostenere le politiche di trasferimento tecnologico e di valorizzazione economica dei risultati del sistema della ricerca pubblica e privata.

Detto rafforzamento viene perseguito, da un lato, attraverso un incremento della dotazione finanziaria dello strumento Smart&Start, dall’altro, ampliandone la capacità di azione. Con quest’ultimo intervento, il governo intende completare ed estendere il sostegno alle start up innovative attualmente limitato alle fasi iniziali di vita.  Dalla reazione illustrativa al Decreto Rilancio, infatti, si evince che lo strumento Smart&Start Italia è stato reso più flessibile e potenziato in modo da sopperire alle esigenze di liquidità delle start up innovative – evidentemente maggiori rispetto a quelle delle altre imprese di piccola dimensione – e/o alle loro esigenze di fondi per consolidarsi e fare scale up. A tal fine, è prevista la possibilità che le iniziative maggiormente “meritevoli” possano consolidare il proprio sviluppo attraversi apporti in termini di capitale proprio anche da parte di investitoti privati e istituzionali. Più in particolare, la conversione del prestito Smart&Start Italia a talune condizioni rappresenterà una spinta per favorire investimenti nel capitale sociale. In altri termini, il nuovo strumento potrà consentire la conversione del debito in uno strumento partecipativo accompagnato dall’ingresso nel capitale sociale di un investitore e/o aumento del capitale stesso, la cui restituzione sarà legata a rendimento aziendale.

La disposizione, come anticipato, interviene anche attraverso agevolazioni sotto forma di contributi a fondo perduto per l’acquisizione di servizi prestati da parte di incubatori, acceleratori, innovation hub, business angels e altri soggetti, di fatto facilitando il networking nell’ecosistema dei business innovativi e così anche investimenti da parte di investitori qualificati. In tale contesto è previsto anche un incremento (€200 milioni) della dotazione del fondo di sostegno al ventur capital istituito con l. 145/2018 e una riserva di pari ammontare del fondo di garanzia delle PMI in favore delle start up innovative.

Viene inoltre previsto: a) un potenziamento degli effetti del credito d’imposta per R&D, in particolare ai fini della maggiorazione delle spese ammissibili, in favore delle start up innovative, che svolgono tali attività nell’ambito di contratti extra muros, attraverso una equiparazione delle start up innovative alle università e gli istituti di ricerca; b) una proroga di un anno la permanenza nella sezione speciale del registro imprese.

Va apprezzata, poi, l’introduzione di un regime fiscale agevolato rivolto esclusivamente alle persone fisiche che investono in start up o in PMI innovative. Questa misura, che sarà oggetto di altro più approfondito articolo, prevede una detrazione d’imposta pari al 50% della somma investita nel capitale sociale di una o più start-up innovative direttamente ovvero tramite OICR che investano prevalentemente in esse. L’investimento massimo detraibile non può eccedere €100.000 per anno e deve essere mantenuto per almeno 3 anni.

Da accogliere con favore è poi la istituzione di un fondo per il trasferimento tecnologico e altre misure urgenti per la difesa ed il sostegno dell’innovazione (Art. 42). In linea con le indicazioni europee, difatti, viene introdotta una misura urgente con cui si intende istituire presso il MiSE un Fondo per il Trasferimento Tecnologico per lo sviluppo e la crescita del Paese che, attraverso il soggetto attuatore, possa agire con urgenza ed efficacia per la finalità descritte attraverso le diverse forme consentite dall’ordinamento (convenzioni o assegnazioni dirette, accordi tra amministrazioni). La costituzione del “Fondo per il trasferimento tecnologico” è finalizzato alla promozione di iniziative e investimenti utili alla valorizzazione e all’utilizzo dei risultati della ricerca presso le imprese operanti sul territorio nazionale, con particolare riferimento alle start-up e PMI innovative.

Tutte misure che, in definitiva, dovrebbero auspicabilmente poter rinvigorire il comparto delle start up e delle PMI innovative fortemente ridimensionato negli ultimi anni, salvo casi rari, e ora aggravato dall’avvento dell’emergenza COVID-19. Misure che, tuttavia, in considerazione del momento epocale, avrebbero forse potuto essere più coraggiose incidendo più efficacemente e stabilmente (non solo in via emergenziale) sull’intero ecosistema in discorso. E, in questa prospettiva, l’opportunità (più che l’auspicio) andrebbe riposta anche in interventi di riordino e consolidamento degli strumenti di raccolta e partecipazione al capitale come il crowdfunding.

 

Alessandro Foti

Il Progetto “Going Digital” dell’OCSE. Sfide e prospettive per la politica internazionale nell’era digitale

Premessa

La rapidità con cui la tecnologia sta trasformando la società impone delle riflessioni sulla tenuta dell’attuale sistema giuridico, politico e sociale – pensato e fondato, nei sui elementi strutturali, in, e per, un’epoca “analogica” – all’impatto con il fenomeno digitale.

Sul fronte dello studio dei fenomeni digitali più dirompenti e delle prospettive sul loro possibile utilizzo futuro a beneficio della collettività si sta muovendo concretamente e proattivamente l’OCSE (“Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico”)[1] della quale, tra i progetti messi in campo, merita di essere menzionato “Going Digital” (di seguito in breve anche “Progetto”)[2]. In estrema sintesi, il Progetto – sviluppato lungo due fasi nel quadriennio 2017/2020 – coinvolge la maggior parte delle Direzioni dell’OCSE e dei suoi comitati direttivi assumendo un approccio multidisciplinare nell’esame degli impatti su un ampio raggio di aree politiche dei governi (e.g., lavoro, istruzione, scienza e innovazione, salute, sicurezza e privacy, pubblica amministrazione, economia, commercio, fisco). L’ecosistema della tecnologia digitale interessata da questo Progetto comprende, tra l’altro, tematiche particolarmente sensibili di questi tempi, quali le reti wireless di prossima generazione “5G”, il cloud computing, l’analisi deibig data, l’Intelligenza Artificiale (IA)[3], la blockchaino Distributed Ledger Technology (DLT), l’Internet of Things (IoT) e la potenza di calcolo.

Il recente congresso tenutosi a Parigi,[4] in occasione della chiusura dei lavori della prima fase (2017-2018) del Progetto, offre una buona opportunità per illustrare sinteticamente le caratteristiche, lo stato dei lavori,i risultati e i percorsi futuri del Progetto.

Il presente lavoro[5] si pone, inoltre, come propedeutico ad una serie di note nelle quali si affronteranno alcune tra le più salienti tematiche dell’era digitale oggetto del Progetto.

 

Lineamenti generali del Progetto “Going Digital”

Il Progetto, lanciato ufficialmente all’inizio del 2017, nasce dalla visione dei quattro presidenti dei Comitati per le politiche per le scienze, la tecnologia e l’innovazione (STI, Science, Technology and Innovation) nell’autunno del 2015, nell’ambito di riflessioni sul Programma di lavoro e budget (“PWB”, Programme of Work and Budget) del 2017-2018 e ha guadagnato ulteriore sostegno e slancio grazie a una serie di riunioni ministeriali settoriali, in particolare in materia di politica per le scienze e la tecnologia (ottobre 2015), per l’occupazione (gennaio 2016), per le competenze (giugno 2016) e per l’economia digitale (giugno 2016), nonché grazie alla riunione del Consiglio ministeriale (“MCM”, Ministerial Council Meeting) del 2016 e alla conseguente dichiarazione con cui “si incoraggia l’OCSE a mettere a punto una politica orizzontale sulla strategia per la digitalizzazione, le sue opportunità e le sue sfide”. Dopo l’MCM 2016, l’iniziativa è stata ulteriormente sviluppata e inclusa nel PWB 2017-2018 come progetto orizzontale, approvato dal Consiglio nella sua riunione del 16 novembre 2016.

Il Progetto è sostanzialmente fondato su un “modello politico integrato” (“Integrated Policy Framework”)[6] condiviso, flessibile, lungimirante e trasversale. In esso sono valorizzate sette dimensioni fondamentali per la politica – accesso, uso, innovazione, fiducia, occupazione, società e apertura al mercato – supportati da indicatori quantitativi e orientamenti politici pratici.

L’obiettivo generale del Progetto è di supportare enti governativi, politici, economici, monetari, a comprendere meglio la trasformazione digitale in corso e a sviluppare gli strumenti per creare un ambiente politico che consenta all’economia e alla società di prosperare in un mondo sempre più digitale e basato sui dati. Con il Progetto, dunque, l’OCSE vuole proporre una visione onnicomprensiva sullo stato, gli effetti, i benefici attesi e le questioni sollevate dalla digitalizzazione nei diversi settori e nelle diverse aree politiche dal che, secondo i promotori del Progetto, dovrebbe anche potersi ricavare un’analisi mirata delle questioni chiave di carattere trasversale, quali, ad esempio lavoro e competenze, produttività, struttura della concorrenza e del mercato, sfide sociali e benessere.

Muovendo da tali presupposti, i gruppi di lavoro dedicati al Progetto elaborano una serie di studi e note politiche indipendenti, una relazione per l’MCM e un rapporto finale di sintesi da ultimo avutosi ad esito del menzionato “Going Digital” Summit. È previsto che detti studi empirici siano accompagnati da una serie di incontri con tavole rotonde e dibattiti su come sviluppare: i) strategie digitali di livello nazionale, ii) una o più Raccomandazioni del Consiglio OCSE sulla trasformazione digitale, iii) un Toolkit Going Digital[7], con un quadro politico integrato che possa fornire esempi pratici e buone prassi a tutti i paesi.

 

La governancedel Progetto

Il Progetto è guidato da un apposito organo, il Comitato per la politica per l’economia digitale (“Committee on Digital Economy Policy”)[8], che si avvale del lavoro di altri tredici comitati:

  • il Comitato per la concorrenza,
  • il Comitato per la politica sui consumatori,
  • il Comitato per l’industria, l’innovazione e l’imprenditorialità,
  • il Comitato per le assicurazioni e le pensioni private,
  • il Comitato per i mercati finanziari,
  • il Comitato per gli affari fiscali,
  • il Comitato per la politica scientifica e tecnologica,
  • il Comitato per la statistica e la politica statistica,
  • il Comitato per la politica economica,
  • il Comitato per la politica in materia di istruzione,
  • il Comitato per l’occupazione, il lavoro e gli affari sociali,
  • il Comitato per la governance pubblica,
  • il Comitato per il commercio.

Altri organi ed enti potranno essere di volta in volta coinvolti a vario titolo nel Progetto (e.g. Forum sui trasporti internazionali, Comitato per la salute, Comitato per la politica ambientale, Comitato per l’agricoltura, Comitato per gli investimenti e Agenzia internazionale per l’energia).

 

I pilastri del Progetto

Il Progetto è fondato su tre pilastri, con ognuno dei quali si promuove un nuovo approccio alla trasformazione digitale e ai suoi effetti su economie e società.

IlPilastro 1 (“Horizontal activities”) integra il menzionato “modello politico integrato” ai fini della crescita, del benessere e delle attività che richiedono la collaborazione tra tutte le aree politiche, inclusi eventuali approfondimenti su alcune nuove tecnologie, altri fattori chiave e loro effetti sul piano politico. In tal modo, secondo l’OCSE, si genererà la consapevolezza di una nuova visione “globale” e si consentirà di comprendere come le politiche dei vari paesi potrebbero o dovrebbero adattarsi. Questo Pilastro comprende, inoltre, altre attività con rilevanza interdisciplinare inclusive di ulteriori progetti da svilupparsi in tema di: lungimiranza, utilizzo delle tecnologie digitali per migliorare la progettazione e l’attuazione delle politiche, sicurezza digitale e resilienza nei settori essenziali, coerenza delle politiche.

Il Pilastro 2 (“Domain-specific insights”) prevede lo sviluppo di un’analisi in specifiche aree politiche (per esempio fisco, commercio, concorrenza, ecc.) e nell’economia più in generale, come indicato nei programmi di lavoro di ciascun comitato OCSE per il 2017-2018. Uno dei principali obiettivi di questo Pilastro è di ottenere un mix di analisi qualitativa e indicatori quantitativi da parte di esperti che consenta di mostrare, anzitutto empiricamente, la misura, la natura, i vantaggi e le sfide della trasformazione digitale in ogni area politica e nell’economia nel senso più ampio.

Il Pilastro 3 (“Cross-cutting analysis”) prevede la istituzione di una serie di moduli incentrati su importanti questioni trasversali. Esso comporterà una profonda analisi di specifiche grandi sfide dell’era digitale che abbiano punti d’intersezione con più aree politiche. I moduli chiave riguardano i posti di lavoro e le competenze nell’economia digitale, le implicazioni della trasformazione digitale per la produttività, la concorrenza e la struttura del mercato, la misurazione della trasformazione digitale e l’efficacia della trasformazione digitale per la società e per il benessere.

 

Le fasi del Progetto

È previsto che il Progetto si sviluppi lungo due fasi nel corso di quattro anni (2017-2020).

La prima fase (annualità 2017-2018) si è appunto conclusa con il congresso “Going Digital Summit” tenutosi a Parigi nei giorni 11-12 marzo 2019. In tale occasione sono stati divulgati due report (“Going Digital: Shaping Policies, Improving Lives[9], “Measuring the Digital Transformation: A Roadmap for the Future”)[10], ed è stato rilasciato un strumento interattivo di dati online (“Going Digital Toolkit”)[11]. I capisaldi di queste pubblicazioni risiedono nel già menzionato “modello politico integrato” posto a fondamento di tutto il Progetto.

La seconda fase del Progetto (annualità 2019-2020), mirerà invece a supportare i paesi membri nell’implementazione di un approccio politico integrato, in particolare attraverso l’ulteriore sviluppo del Going Digital Toolkit (inclusi indicatori, note politiche ed esempi di politiche innovative) e la revisione su base nazionale del Progetto. Durante questa fase si studieranno, inoltre, nuove opportunità e sfide attraverso l’analisi delle c.d. “tecnologie di frontiera”, in particolare l’IA e la blockchain, con un’attenzione costante a occupazione, competenze e inclusione sociale, nonché a produttività, concorrenza e strutture di mercato. Durante il prossimo evento, previsto per i giorni 22-23 maggio 2019, si terrà l’assemblea del MCM presieduta dalla Repubblica slovacca e in tale sede verrà posta particolare attenzione all’analisi dello sfruttamento della transizione digitale per avviare uno sviluppo sostenibile.

 

L’attualità e i percorsi futuri del Progetto

L’ambizioso Progetto dell’OCSE è da accogliersi con favore.

Va condivisa l’esigenza paventata dal Progetto di un approccio “globale” alle tematiche digitali, che sia anche condiviso, integrato e interdisciplinare. È dunque opportuno, come anche osserva l’OCSE, che venga colmato il divario tra la “Tecnologia 4.0” e la “Politica 1.0”. Peraltro, nei paesi membri, come anche in altri paesi, la risposta politica alla trasformazione digitale non è uniforme. Alcuni paesi stanno sviluppando un approccio strategico e proattivo per meglio far leva sui benefici di tale trasformazione operando sulle politiche di governo, mentre altri paesi promuovono provvedimenti frammentari a fronte di specifiche necessità per area d’intervento (es. cyber-security) e l’impatto di nuove tecnologie, di nuove applicazioni e nuovi business model.

A tutti i livelli si è consci che nell’”era digitale”, globale e interconnessa, la mancanza di un approccio internazionale condiviso potrebbe, per esempio, incrementare il rischio che le politiche di un’area abbiano impatti involontari e probabilmente avversi su altre aree, come anche il rischio che vadano perdute opportunità di creare sinergie capaci invece di potenziarne gli effetti positivi.[12][13]

In questo contesto è poi cruciale che il costante sviluppo delle tecnologie moderne – si pensi a big data, deep learning, cloud compunting, IA, DLT – sia accompagnato dalla consapevolezza che la trasformazione digitale può generare (o migliorare il) benessere delle persone, in quanto individui di una società vocata alla digitalizzazione, prima ancora che quello di governi e di imprese.

Naturalmente, è bene che ciò avvenga in un’ottica di contemperamento dei benefici della globalizzazione e della digitalizzazione con quelli di uno sviluppo economico-sociale sostenibile che possa preservare i valori fondamentali dell’uomo nell’era digitale.

 

Tiziana Zona

Alessandro Foti

 


[1] Storicamente, istituita nel 1948 come Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea (OECE), nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, l’organizzazione si poneva l’obiettivo di utilizzare efficientemente gli aiuti statunitensi dell’European Recovery Program anche noti come Piano Marshall, e così valorizzare il processo di integrazione europea e di unione economica. Nel 1961, ad esito di una profonda riorganizzazione, l’OECE divenne l’OCSE, un’organizzazione internazionale di studi economici con ruolo essenzialmente di assemblea consultiva tra i paesi membri. Gli obiettivi istituzionali erano, e sono tutt’ora, rappresentati dall’integrazione e cooperazione economica e finanziaria tra i paesi membri (attualmente 36 inclusa l’Italia) promossi attraverso strategie politiche condivise e integrate per il benessere economico e sociale. Tali attività si evolvono naturalmente in accordi, convenzioni e raccomandazioni cui i paesi membri si impegnano ad aderire per conseguire gli obiettivi istituzionali. La struttura istituzionale dell’OCSE comprende: un consiglio composto da un rappresentante per ogni paese; un comitato esecutivo composto dai rappresentanti di delegazioni permanenti di 14 membri eletti annualmente; i comitati e i gruppi di lavoro specializzati; le delegazioni permanenti dei paesi membri sotto forma di missioni diplomatiche dirette quindi dagli ambasciatori; il segretariato internazionale, a disposizione dei comitati e degli altri organi. http://www.oecd.org/about/).

[2] Le informazioni del progetto OCSE contenute in questa nota sono state reperite dal sito istituzionale del progetto raggiungile dal link: http://www.oecd.org/going-digital/.

[3] Per un preliminare approccio a taluni rilevanti profili giuridici correlati alla IA ci sia consentito rinviare alle notazioni di R.A. JACCHIA, S.CAPRUZZI, “Le nuove sfide dell’intelligenza artificiale. Proprietà intellettuale, etica e soggettività giuridica” reperibile tramite il link https://www.dejalex.com/wp-content/uploads/2019/02/Articolo_Intelligenza-artificiale-25.02.2019-formato-pubblicazione.pdf.

[4] Nei giorni 11 e 12 marzo si è svolto, presso il Centro Conferenze OCSE a Parigi, il “Going Digital” Summit, un evento organizzato per discutere i risultati dei primi due anni dell’omonimo progetto OCSE. Il Consigliere Giuridico del Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio, Marco Bellezza, in qualità di capo della delegazione italiana, ha partecipato al panel “Policy Making in the Digital Age” e ha relazionato sulle misure introdotte dal Governo, su impulso del Ministro, per accompagnare e sostenere le imprese nel processo di digitalizzazione in corso, rappresentando le più recenti iniziative come il Fondo Nazionale Innovazione a supporto di startup, scaleupe PMI innovative (https://www.mise.gov.it/index.php/it/per-i-media/notizie/2039412-il-mise-partecipa-al-going-digital-summit-dell-ocse).

[5] Le informazioni del progetto OCSE contenute in questa nota informativa sono reperite prevalentemente dal sito istituzionale del progetto raggiungile dal link: http://www.oecd.org/going-digital/.

[6] Si veda http://www.oecd.org/going-digital/framework/.

[7] Si veda al riguardo http://goingdigital.oecd.org/en/ vedasi infra per maggiori dettagli.

[8] Per maggiori informazioni sulla governance si veda, tra gli altri, il primo 2017 Horizontal Project Update to Council [C(2017)27/REV1].

[9] Il report sviluppa le 7 aree di interesse (o dimensioni) individuate nel “modello politico integrato” che dovrebbero consentire ai soggetti interessati dalla digitalizzazione di ripensare la trasformazione digitale di guisa che le sue caratteristiche possano essere sfruttate al meglio per generare benessere. Più in dettaglio nel report sono esaminati i seguenti profili: (1) Accesso a infrastrutture di comunicazione, servizi e dati, (2) Uso effettivo delle tecnologie digitali e dati, (3) Data-driven e innovazione digitale, (4) Una buon occupazione per tutti, (5) Prosperità sociale e inclusione, (6) Fiducia nell’era digitale, (7) Apertura al mercato negli ambienti di business digitali. Il report inoltre evidenzia le opportunità, le sfide e le politiche chiave relative a ciascuna dimensione, offrendo nuovi approfondimenti, prove e analisi e fornendo raccomandazioni per migliorare le politiche di governo nell’era digitale (OECD (2019), Going Digital: Shaping Policies, Improving Lives, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/9789264312012-en).

[10] Il report fornisce informazioni aggiornate sullo stato della trasformazione digitale mappando degli indicatori su una vasta gamma di aree tematiche – dall’educazione e innovazione, agli scambi e ai risultati economici e sociali – e confrontandoli anche con le attuali tematiche di politica digitale evidenziate con il report coevo. In tal modo vengono identificate le lacune dell’attuale sistema di monitoraggio delle tecnologie digitali, valutati i progressi e definita una tabella di marcia lungimirante. L’obiettivo dichiarato è quello di espandere la base di conoscenze, come mezzo per gettare le basi per politiche più solide per la crescita e il benessere nell’era digitale. In questa prospettiva il report propone nove azioni per costruire la prossima generazione di dati e indicatori in grado di affrontare le sfide della trasformazione digitale: (1) Rendere visibile la trasformazione digitale nelle statistiche economiche, (2) Comprendere gli impatti economici della trasformazione digitale, (3) Misurare il benessere nell’era digitale, (4) Progettare nuovi approcci alla raccolta dei dati, (5) Monitorare le tecnologie di trasformazione (in particolare IoT, IA e blockchain), (6) Dare senso ai dati e ai flussi di dati, (7) Definire e misurare le competenze necessarie nell’era digitale, (8) Misurare la fiducia negli ambienti online, (9) Valutare i punti di forza digitali dei governi (OECD (2019), Measuring the Digital Transformation: A Roadmap for the Future, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/9789264311992-en).

[11] Il “Going Digital Toolkit” è strutturato sulla base delle 7 dimensioni politiche individuate nel “modello politico integrato” per consentire ai paesi di verificare il loro livello di sviluppo digitale. Questo strumento, inoltre, mostra in che modo i paesi si confrontano sulle 7 dimensioni proponendo linee guida e analisi per aiutare i paesi a realizzare quelle che sono considerate le “promesse” della trasformazione digitale. Nell’ambito di questa attività è stato di recente realizzato e pubblicato l’esito di uno studio comparatistico su opportunità e rischi dell’era digitale per il benessere degli individui (OECD (2019), How’s Life in the Digital Age?: Opportunities and Risks of the Digital Transformation for People’s Well-being, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/9789264311800-en.). È interessante osservare che, secondo questo studio, l’Italia risulta essere più esposta ai rischi della trasformazione digitale piuttosto che poter ritrarre benefici da essa, se paragonata ad altri paesi OCSE. A titolo di esempio, viene rilevato che tra i principali fattori incidenti sul (poco entusiasmante) score del nostro paese vi sono: la disparità d’uso di internet – ossia a fronte di un numero limitato di persone che usa internet per svariate attività la maggioranza delle persone ne fa un uso molto limitato -, e le profonde lacune in materia Information and Communications Technology tra i docenti – per il 36% di costoro vi sarebbe una concreta necessità di sviluppare abilità ICT.

[12] Si pensi ad esempio, alle restrizioni sui programmi di car sharing i quali possono imporre barriere a discapito di chi non ha un’automobile, portare a un uso inefficiente degli spazi urbani e così, tra l’altro, vanificare le politiche a supporto degli anziani. Le nuove opportunità di digitalizzazione dell’ambiente domestico, come le “smart home”, andrebbero coordinate con le politiche delle diverse aree, dai trasporti all’energia, dagli alloggi alla comunicazione, dall’istruzione all’assistenza sanitaria. Nel campo finanziario possono rendersi necessari nuovi approcci normativi (e.g. “sandbox”) per bilanciare i benefici dell’innovazione con i rischi per la stabilità finanziaria e la tutela dei consumatori.

[13] Va detto che nel contesto dell’OCSE, anche prima del Progetto qui in discorso, si sono già avuti progressi importanti negli aspetti chiave delle politiche per affrontare scientemente l’”era digitale”.Tra i tanti si ricordano, la Raccomandazione del Consiglio sui principi per le politiche in materia di internet [C(2011)154], la Raccomandazione del Consiglio sulle strategie del governo digitale [C(2014)88] e la Dichiarazione sull’economia digitale: innovazione, crescita e prosperità sociale [C(2016)116]. Si deve tuttavia anche osservare come ciò non abbia sinora sortito, quantomeno nella maggioranza dei paesi OCSE, gli effetti evolutivi attesi.

Le Autorità per la tutela dei consumatori e la Commissione Europea richiamano Airbnb al rispetto delle norme di tutela dei consumatori e ad una maggiore trasparenza

Il 16 luglio 2018, le Autorità nazionali per la tutela dei consumatori dei Paesi dell’Unione Europea, coordinati dalla Commissione, hanno inviato alla piattaforma online Airbnb una lettera contenente la loro posizione comune[1] sulle pratiche commerciali e i termini di servizio applicati dalla piattaforma, che consente a privati e professionisti di offrire in affitto sistemazioni per soggiorni brevi.

Le Autorità nazionali ritengono che le modalità in cui Airbnb presenta i prezzi delle sistemazioni offerte sul proprio portale ed alcune disposizioni contenute nelle sue condizioni di utilizzo non siano conformi alla Direttiva 2005/29/CE[2] sulle pratiche commerciali scorrette.

Per quanto riguarda la trasparenza dei prezzi, le Autorità evidenziano come a seguito di una ricerca generica indicando solo la località in cui si sta cercando una sistemazione od utilizzando determinate chiavi di ricerca, il sito presenti una serie di risultati con l’indicazione del prezzo per notte e il seguente avvertimento al fondo della pagina in cui vengono elencati i risultati: “Enter dates to see full pricing. Additional fees apply. Taxes may be added after login”. Inoltre, anche la homepage del sito web di Airbnb mostra una selezione di proposte per le quali viene indicato il prezzo per notte, ma quando si seleziona una di queste proposte il prezzo indicato è talvolta superiore a quello presentato nella homepage.

Le Autorità ricordano che ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 4, lettera c) della Direttiva 2005/29/CE, nel caso di un invito all’acquisto devono essere indicati “… il prezzo comprensivo delle imposte o, se la natura del prodotto comporta l’impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l’indicazione che tali spese potranno essere addebitate al consumatore…”. Secondo le Autorità, il fatto di indicare nei risultati della ricerca, sia essa generica o specifica, il prezzo per notte, senza indicare il costo del servizio, delle pulizie o di altre spese aggiuntive e tasse che potrebbero essere ragionevolmente calcolate in anticipo rappresenta una pratica commerciale sleale ai sensi della Direttiva 2005/29/CE.

In secondo luogo, le Autorità evidenziano che sulla base degli Hosting Standards di Airbnb anche alcuni operatori professionali sono autorizzati ad utilizzare la piattaforma per offrire i propri servizi alberghieri. Tuttavia, nei risultati delle ricerche effettuate sul sito, non compare alcuna distinzione tra le sistemazioni offerte dai privati e quelle offerte da un professionista. Ai sensi degli articoli 6, paragrafo 1, lettera f), e 7 paragrafi 1, 2 e 4, lettera b), della Direttiva 2005/29/CE, una pratica è considerata ingannevole quando è suscettibile di fuorviare il consumatore con riguardo alla natura o identità del professionista o di celare tali informazioni. Airbnb dovrebbe dunque consentire agli operatori professionali che operano sulla sua piattaforma di identificarsi come tali.

In un servizio come quello di Airbnb che ha reso possibile l’accommodation sharing, la distinzione tra operatori professionali e ospiti privati può influenzare le decisioni dei consumatori che utilizzano la piattaforma per prenotare una sistemazione, oltre ad avere conseguenze sulle norme di tutela dei consumatori applicabili nel caso specifico.

Inoltre, Airbnb dovrebbe impegnarsi ad inserire sul proprio sito web un link facilmente accessibile per la risoluzione online delle controversie e tutte le informazioni relative a norma del Regolamento (UE) n. 524/2013 sulla risoluzione delle controversie online dei consumatori[3], poiché attualmente sono presenti solo un contatto telefonico e l’indirizzo di Airbnb Payments UK Ltd.

Per quanto riguarda le condizioni di utilizzo, le Autorità ricordano che ai sensi della Direttiva 93/13/CE[4] sulle clausole contrattuali abusive, le condizioni generali non devono creare un significativo squilibrio tra i diritti e gli obblighi delle parti a scapito del consumatore, e che tali condizioni generali devono essere redatte in modo chiaro e comprensibile affinché il consumatore sia informato dei suoi diritti in modo altrettanto chiaro e comprensibile. Nel caso di Airbnb, le Autorità contestano che, ad esempio:

  • la società non deve indurre i consumatori ad adire un giudice di un Paese diverso da quello del loro Stato Membro di residenza;
  • Airbnb non può decidere unilateralmente e senza motivazione quali clausole restino in vigore in caso di risoluzione del contratto;
  • Airbnb non può privare i consumatori dei loro diritti fondamentali a citare in giudizio un soggetto che dà ospitalità in caso di danno alle persone o di altra natura;
  • Airbnb non può modificare unilateralmente le clausole e le condizioni, senza informare chiaramente i consumatori in anticipo e senza dar loro la possibilità di recedere dal contratto;
  • le clausole di utilizzo non possono conferire ad Airbnb un potere illimitato e discrezionale di rimozione dei contenuti;
  • la denuncia o la sospensione di un contratto da parte di Airbnb deve essere motivata, disciplinata da regole chiare e non deve privare il consumatore del diritto ad un congruo indennizzo o del diritto di presentare ricorso;
  • la politica di Airbnb in materia di restituzioni e rimborsi, e la raccolta delle richieste di risarcimento devono essere chiaramente definite e non devono privare i consumatori dei loro diritti di avvalersi dei mezzi di ricorso disponibili.

 

La lettera delle Autorità nazionali si conclude con l’invito indirizzato ad Airbnb ad inviare, entro il termine di due mesi, una risposta che illustri le variazioni che la piattaforma intende introdurre per rendersi pienamente conforme alla legislazione europea sulla tutela dei consumatori. Nel caso in cui le misure proposte non dovessero essere considerate soddisfacenti, le Autorità potrebbero adottare misure coercitive.

La lettera contenente la posizione comune delle Autorità nazionali per la tutela dei consumatori rappresenta un’azione coordinata adottata ai sensi dell’articolo 9 del Regolamento (CE) 2006/2004[5] sulla cooperazione per la tutela dei consumatori; il secondo comma di tale articolo stabilisce che “… nel caso in cui le autorità competenti vengano a conoscenza di una infrazione intracomunitaria che arrechi pregiudizio agli interessi dei consumatori di più di due Stati membri, le autorità competenti interessate coordinano il loro intervento e chiedono l’assistenza reciproca attraverso l’ufficio unico di collegamento. In particolare, esse si adoperano per svolgere le indagini e applicare le misure esecutive contemporaneamente…” creando una vera e propria rete di cooperazione per la tutela dei consumatori (Consumer Protection Cooperation – o CPC – network).

La Commissione viene informata anticipatamente di questo tipo di azioni e svolge un ruolo di coordinamento al fine di assicurare un’applicazione omogenea delle norme all’interno del mercato unico. La cooperazione può essere attivata anche per far applicare coattivamente gli strumenti legislativi di tutela del consumatore, in particolare, la direttiva sulle pratiche commerciali sleali, la direttiva sui diritti dei consumatori[6] o la direttiva sulle clausole contrattuali abusive[7].

Ulteriori posizioni comuni assunte dal CPC network con il conseguente invio di una lettera di contestazione alle imprese interessate avevano in passato avuto ad oggetto il programma di richiamo e riparazione delle vetture Volkswagen coinvolte nello scandalo del Dieselgate[8], le frodi e la rimozione di contenuti illegali presenti sui social media[9], la trasparenza dei prezzi e delle condizioni contrattuali applicati dalle società di autonoleggio[10], la differenza di qualità dei prodotti alimentari tra gli Stati Membri[11] e gli acquisti in-App, in particolare con riferimento ai giochi online pubblicizzati come gratuiti[12].

 

Roberto A. Jacchia

Davide Scavuzzo

 

[1]Common position of national authorities within the CPC Network on the commercial practices and the terms of service of Airbnb Ireland, disponibile al seguente LINK.

[2]Direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»). GUUE L 149 dell’11.06.2005

[3]Regolamento (UE) n. 524/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, relativo alla risoluzione delle controversie online dei consumatori e che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (regolamento sull’ODR per i consumatori). GUUE L 165 del 18.06.2013.

[4]Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. GUUE L 95 del 21.04.1993.

[5]Regolamento (CE) n. 2006/2004 del parlamento Europeo e del Consiglio, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori («Regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori»). GUUE L 364 del 09.12.2004.

[6]Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. GUUE L 304 del 22.11.2011.

[7]Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. GUUE L 95 del 21.04.1993.

[8]Si veda il seguente LINK.

[9]Si veda il seguente LINK.

[10]Si veda il seguente LINK.

[11]Si veda il seguente LINK.

[12]Si veda il seguente LINK.

Startup verso quota 9mila

È online la 15a edizione del rapporto trimestrale sui trend demografici e le performance economiche delle startup innovative italiane, che presenta dati aggiornati al 31 marzo 2018.

Per la prima volta, le startup innovative vengono raffrontate a una popolazione con caratteristiche analoghe sul piano anagrafico e dimensionale, vale a dire le altre società di capitali costituite da meno di 5 anni e con un fatturato inferiore ai 5 milioni di euro – due dei requisiti propri della definizione di startup innovativa di cui al d.l. 179/2012.

Questa evoluzione consente al lettore di mettere a fuoco con maggiore nitidezza le caratteristiche distintive del fenomeno. Spiccano alcuni dati:

  • La popolazione complessiva delle startup innovative si avvia verso le 9mila unità (8.897), in aumento di 506 unità rispetto a fine 2017. Anche i valori riguardanti la forza lavoro, con particolare riguardo alla componente dei soci (+5,6%), e il capitale sottoscritto (+18%) risultano in forte crescita.
  • La loro incidenza sul totale delle nuove società di capitali varia significativamente a seconda del settore. Ad esempio, è startup innovativa il 7,4% delle nuove imprese del comparto dei servizi. Ma scomponendo quest’ultimo sulla base della codificazione Ateco, l’incidenza aumenta notevolmente nei settori dello sviluppo di software (32,2%) e, soprattutto, della ricerca e sviluppo (65,6%).
  • Caratteristica che distingue marcatamente le startup innovative dalle altre nuove imprese è l’elevata propensione all’investimento: il rapporto tra immobilizzazioni e attivo patrimoniale è pari al 27,7%, più di sei volte maggiore rispetto al valore registrato dalle altre società di recente costituzione (4,3%).
  • La Lombardia si conferma la regione capofila per numero di startup innovative, superando quota duemila: 2.132, pari al 24% del totale nazionale. Seguono il Lazio, con 911 (10,2%), che per la prima volta supera l’Emilia-Romagna, ferma a 884 (9,9%). Al quarto posto rimane il Veneto con 822 (9,2%), seguito dalla Campania, prima regione del Mezzogiorno con 658 (7,4%).
  • Rispetto alle altre nuove società di capitali, le startup innovative sono tendenzialmente più giovani: gli under-35 compaiono in quasi una startup su due (44,4%), contro il 34,5% fatto registrare dalle altre neo-imprese.

 

Il rapporto, realizzato congiuntamente da Ministero (DG per la Politica Industriale) e InfoCamere, la società informatica del sistema camerale, in collaborazione con Unioncamere, contiene numerose altre informazioni sulla distribuzione geografica e settoriale delle startup, sull’occupazione da esse creata, nonché i principali dati di bilancio riferiti all’esercizio 2016.

Primo trimestre 2018 – Cruscotto di indicatori statistici sulle startup innovative

 

Fonte: Ministero dello sviluppo economico

Start-up innovative: i nuovi criteri per l’accesso alle agevolazioni economiche (Circ. 102159/2018)

Con Circolare del 14 febbraio 2018, n. 102159, il Ministero dello Sviluppo Economico ha modificato e integrato la propria Circolare del 10 dicembre 2014 n. 68032 relativa ai criteri e alle modalità di concessione di agevolazioni ai sensi del D.M. 24 settembre 2014 per il sostegno alle start-up innovative.

100 milioni di euro per la digitalizzazione delle PMI

Fonte: http://www.sviluppoeconomico.gov.it

A seguito della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della delibera CIPE del 10 luglio 2017, che ha completato la dotazione finanziaria e l’ha ripartita tra le regioni, dal 30 gennaio al 9 febbraio 2018 sarà possibile per le micro, piccole e medie imprese di tutto il territorio nazionale presentare la domanda per l’ottenimento del contributo in forma di voucher per l’acquisto di hardware, software e servizi specialistici finalizzati alla digitalizzazione dei processi aziendali e all’ammodernamento tecnologico.

Ciascuna impresa può beneficiare di un unico voucher di importo non superiore a 10 mila euro, nella misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili.

Entro 30 giorni dalla chiusura dello sportello il Ministero adotterà un provvedimento cumulativo di prenotazione del Voucher, su base regionale, contenente l’indicazione delle imprese e dell’importo dell’agevolazione prenotata.

Nel caso in cui l’importo complessivo dei Voucher concedibili sia superiore all’ammontare delle risorse disponibili (100 milioni di euro), queste saranno ripartite in proporzione al fabbisogno derivante dalla concessione del Voucher da assegnare a ciascuna impresa beneficiaria. Ai fini del riparto saranno considerate tutte le imprese ammissibili alle agevolazioni che avranno presentato la domanda nel periodo di apertura dello sportello, senza alcuna priorità connessa al momento della presentazione.

Verificata la documentazione finale che le imprese sono tenute a presentare entro 30 giorni dalla data di ultimazione delle spese, che dovranno essere sostenute dopo la comunicazione dell’avvenuta prenotazione del contributo, il Ministero determinerà l’importo del Voucher da erogare in relazione ai titoli di spesa risultati ammissibili.

Nell’ambito della dotazione finanziaria complessiva è prevista una riserva destinata alla concessione del Voucher alle micro, piccole e medie imprese che hanno conseguito il rating di legalità e che sono quindi incluse nel relativo elenco dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

 

Voucher per la digitalizzazione delle PMI

Fonte: http://www.sviluppoeconomico.gov.it

Cos’è

È una misura agevolativa per le micro, piccole e medie imprese che prevede un contributo, tramite concessione di un “voucher”, di importo non superiore a 10 mila euro, finalizzato all’adozione di interventi di digitalizzazione dei processi aziendali e di ammodernamento tecnologico.

La disciplina attuativa della misura è stata adottata con il decreto interministeriale 23 settembre 2014.

 

Cosa finanzia

Il voucher è utilizzabile per l’acquisto di software, hardware e/o servizi specialistici che consentano di:

  • migliorare l’efficienza aziendale;
  • modernizzare l’organizzazione del lavoro, mediante l’utilizzo di strumenti tecnologici e forme di flessibilità del lavoro, tra cui il telelavoro;
  • sviluppare soluzioni di e-commerce;
  • fruire della connettività a banda larga e ultralarga o del collegamento alla rete internet mediante la tecnologia satellitare;
  • realizzare interventi di formazione qualificata del personale nel campo ICT.

Gli acquisti devono essere effettuati successivamente alla prenotazione del Voucher.

 

Le agevolazioni

Ciascuna impresa può beneficiare di un unico voucher di importo non superiore a 10 mila euro, nella misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili.

 

Come funziona

Con decreto direttoriale 24 ottobre 2017 sono state definite le modalità e i termini di presentazione delle domande di accesso alle agevolazioni. Le domande potranno essere presentate dalle imprese, esclusivamente tramite la procedura informatica che sarà resa disponibile in questa sezione, a partire dalle ore 10.00 del 30 gennaio 2018 e fino alle ore 17.00 del 9 febbraio 2018. Già dal 15 gennaio 2018 sarà possibile accedere alla procedura informatica e compilare la domanda. Per l’accesso è richiesto il possesso della Carta nazionale dei servizi e di una casella di posta elettronica certificata (PEC) attiva e la sua registrazione nel Registro delle imprese.

Entro 30 giorni dalla chiusura dello sportello il Ministero adotterà un provvedimento cumulativo di prenotazione del Voucher, su base regionale, contenente l’indicazione delle imprese e dell’importo dell’agevolazione prenotata.

Nel caso in cui l’importo complessivo dei Voucher concedibili sia superiore all’ammontare delle risorse disponibili (100 milioni di euro), il Ministero procede al riparto delle risorse in proporzione al fabbisogno derivante dalla concessione del Voucher da assegnare a ciascuna impresa beneficiaria. Tutte le imprese ammissibili alle agevolazioni concorrono al riparto, senza alcuna priorità connessa al momento della presentazione della domanda.

Ai fini dell’assegnazione definitiva e dell’erogazione del Voucher, l’impresa iscritta nel provvedimento cumulativo di prenotazione deve presentare, entro 30 giorni dalla data di ultimazione delle spese e sempre tramite l’apposita procedura informatica, la richiesta di erogazione, allegando, tra l’altro, i titoli di spesa.

Dopo aver effettuato le verifiche istruttorie previste, il Ministero determina con proprio provvedimento l’importo del Voucher da erogare in relazione ai titoli di spesa risultati ammissibili.

 

Alessandro Foti

Startup innovative: pienamente operative le modifiche agli incentivi per gli investimenti in equity

Roma, 02 ottobre 2017 – Sono pienamente operative le modifiche che hanno rafforzato e reso permanenti gli incentivi fiscali per chi investe in startup innovative, previste dalla legge di bilancio per il 2017 e ora autorizzate dalla Commissione europea (SA 47184) che il 18 settembre ha pubblicato la relativa decisione.

Gli incentivi, volti a sostenere la nascita e lo sviluppo di imprese innovative ad alto valore tecnologico, sono destinati sia alle persone fisiche che alle persone giuridiche che decidono di investire nel capitale delle startup innovative.

Per le persone fisiche è prevista una detrazione dall’IRPEF lorda pari al 30% della somma investita nel capitale sociale delle startup innovative, fino ad un investimento massimo di un milione di euro annui.

Le persone giuridiche possono beneficiare di una deduzione dall’imponibile IRES pari al 30% dell’investimento, con tetto massimo di investimento annuo pari a 1,8 milioni di euro.

Gli incentivi sono usufruibili sia in caso di investimenti diretti, sia in caso di investimenti indiretti per il tramite di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) e di altre società che investono prevalentemente in tali società.

Tali agevolazioni potranno essere fruite stabilmente: la legge di bilancio per il 2017, infatti, le ha rese permanenti.

 

Ministero dell’Economia e delle Finanze

Voto favorevole per la proposta della Commissione europea volta a ridurre la presenza di acrilammide negli alimenti

Clicca qui per la leggere l’articolo in inglese

 

In data 19 luglio 2017, i rappresentanti degli Stati membri hanno votato a favore della proposta della Commissione europea volta a ridurre la presenza di acrilammide negli alimenti.

L’acrilammide è una sostanza cancerogena che si sviluppa negli alimenti durante i processi di lavorazione a temperatura elevata quali frittura, tostatura e cottura al forno. Tale sostanza si forma a partire dall’asparagina libera e dagli zuccheri naturalmente presenti soprattutto in prodotti alimentari a base di cereali o patate, nel caffè e nei suoi succedanei.

La presenza di acrilammide negli alimenti è stata rilevata nel 2002. Nel 2015 l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha confermato che l’acrilammide è una sostanza cancerogena e che i livelli attuali di esposizione alimentare destano preoccupazione. In seguito al parere dell’EFSA e considerando che le misure di attenuazione volontarie da parte degli Stati membri volte a ridurre la presenza di acrilammide negli alimenti non sono state omogenee, la Commissione europea ha avviato un dibattito con le autorità degli Stati membri, che si è concluso con il voto favorevole alla proposta di cui sopra.

Prima dell’approvazione definitiva da parte della Commissione, il testo della proposta sarà trasmesso al Consiglio e al Parlamento europeo che avranno 3 mesi di tempo per esaminarlo.

Il Commissario per la Salute e la sicurezza alimentare, Vytenis Andriukaitis, ha dichiarato: “Oggi abbiamo compiuto un passo importante per tutelare la salute e il benessere dei cittadini. Il nuovo regolamento contribuirà non solo a ridurre la presenza di questa sostanza cancerogena, ma anche a sensibilizzare l’opinione pubblica su come evitare l’esposizione spesso connessa alla preparazione degli alimenti a casa.”

 

Per ulteriori informazioni consultare il seguente LINK.

 

Giovanna Bagnardi e Davide Scavuzzo